martedì 8 marzo 2011

Cultura locale e cultura da spettatore


Si chiama provincialismo coltivare il culto delle celebrità e stigmatizzare come poveracci coloro che fanno cultura in loco.
Le pubbliche amministrazioni dovrebbero incoraggiare e sostenere coloro che fanno cultura localistica


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Nella foto Elia Marcelli al tempo della campagna di Russia)

Anche chi fa cultura, individualmente o nell'ambito di associazioni, non è un alieno di Marte, e, quindi, spesso, è portato a scelte opportunistiche, dettate da un istinto di sopravvivenza. D’altronde in questa giungla disumana che è diventata la società italiana, regna la legge del più forte, del più furbo, del più disonesto.
Che la cultura di sinistra non abbia più quella carica ideale e quel carisma sulle masse che ha avuto tra il 1947 e il 1984, ossia tra la nascita dello stato repubblicano e la morte di Enrico Berlinguer, l’ultimo emblema di una palingenesi popolare e comunista, è un fatto ormai notorio.
Le motivazioni di questo decadimento, mi pare ovvio, non sono materia del mio intervento. Fatto sta che alla cultura di sinistra non è succeduta una cultura di destra. Se nel trentennio del secondo dopoguerra la case editrici Einaudi, e poi Feltrinelli ed Editori Riuniti, si sono imposte come le editrici di riferimento delle intelligenze di sinistra, oggi anche questo faro si è spento, e le maggiori editrici non si sono spostate a destra, ma hanno semplicemente perso una impronta politica.
Ritengo che come la sinistra politica oggi non abbia una idea “moderna” di cultura (anzi, sopravvive nel ricordo dei valori della resistenza, ormai assimilabili a quelli del risorgimento) così neanche la destra ha dei valori fondanti di cultura, avendo rinnegato, per opportunismo, quelli del fascismo. Il caso di Caffeina è emblematico di una situazione nazionale: l’organizzazione degli eventi pianifica una programmazione con diverse personalità di una sinistra nuova ed emergente, svincolata ai partiti; a destra non ci sono personalità tali da riempire le piazze, dal momento che le facce di Sgarbi, di Belpietro o di Bondi ributtano ai loro stessi simpatizzanti. E così, non già per spirito democratico, quanto di consenso popolare, si rubano nella galassia sinistrorsa dei nomi di valore quali Cristicchi e Saviano, anche con la furba speranza di attirare verso le amministrazioni di destra i simpatizzanti di sinistra.
Le facoltà dell’intelletto non sono di destra o di sinistra, ma oltre la contingenza della destra e della sinistra. Ritengo che i partiti - se ancora hanno un senso e dei valori - debbano fare in modo di usare la cultura per infettare di umanità gli individui, la gente, la massa o popolo come vogliamo chiamarlo. La cultura demagogica, strumentale e funzionale ai partiti, si chiama propaganda.
La cultura, nei paesi e nelle città di provincia, dovrebbe in minima parte sperperare le risorse economiche per mettere sul palcoscenico i nomi noti della cultura e dello spettacolo nazionale, giacché a questo, e con forse più lauti compensi, ci pensano le tivvù di stato e di parastato. Si chiama provincialismo coltivare il culto delle celebrità e stigmatizzare come poveracci coloro che fanno cultura in loco. Le pubbliche amministrazioni dovrebbero incoraggiare e sostenere coloro che fanno cultura localistica, che studiano la storia e le tradizioni del nostro territorio, i talenti che si manifestano nelle varie arti, dal teatro alla musica. Sono paradossali i festivals di teatro e musica che fanno a Fabrica di Roma, che non sono affatto di cattiva qualità, ma che sono di tipo passivo, ossia che incentivano la pratica dello “spettatore”, soprattutto forestiero, che viene, si siede, applaude e se ne va. E il giorno dopo, la settimana dopo, il mese dopo, l’anno dopo, il decennio dopo, la situazione culturale in loco è morta come sempre: niente soldi per creare una compagnia di teatro locale, niente soldi per gli studi di storia locale, niente di niente per sostenere gli artisti nativi. A Fabrica vi è nato, da genitori entrambi fabrichesi, un certo Elia Marcelli (1915-1998) cineasta e scrittore, che nessuno in provincia conosceva, finché l’estate scorsa il più noto cantante Simone Cristicchi, non ha recitato diverse strofe di un suo poema in ottava rima “Li Romani in Russia”, appunto nell’ambito degli incontri di “Caffeina”. L’amministrazione di Fabrica di Roma doveva dunque correre ai ripari dopo aver riso in faccia a quei due o tre saputelli che negli anni precedenti avevano provato a proporre di intitolargli una via o a celebrarne il ricordo. Invece niente di niente, l’indifferenza più totale. Ho portato questo esempio estremo perché credo che, riguardo alla cultura, la mentalità dei pubblici amministratori della nostra provincia non sia dissimile da quelli del nostro paese.

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